ASCOLTO ATTIVO
Nelle relazioni di scambio stiamo dentro ad una cornice precisa che è la nostra mappa, come immaginiamo il mondo, e facciamo fatica ad uscire da questo punto di vista. Devo provare ad immaginare che abbia ragione l’altro.
Visto che una comunicazione che riguarda i sentimenti è costituita dal verbale per solo il 7% e per la restante parte non è legata alla parola (55% movimenti del corpo – soprattutto mimica facciale – e 38% volume, tono, ritmo), pensiamo a cosa può significare questo nel gruppo: come posso ascoltare veramente?
Mediante l’ascolto attivo:
- mi interessa la relazione con chi parla
- assumo il suo punto di vista, mi metto nei suoi panni
- vivo l’ascolto come un’occasione per capire e saperne di più
Le emozioni sono strumenti conoscitivi fondamentali, se si sa comprendere il loro linguaggio. Consideriamo la persona intera e lasciamo che si esprima anche con le sue emozioni. Un buon ascoltatore è un “esploratore di mondi possibili”: ascoltando posso davvero entrare nella “casa” di un’altra persona. Il buon ascoltatore affronta i dissensi come occasioni per esercitarsi nella gestione creativa dei conflitti.
L’ascolto attivo si alimenta di silenzio.
Se osservo, faccio domande, esprimo le mie emozioni, manifesto interesse per la relazione con gli altri, non rischio di trovarmi intrappolato in una condizione di potere che ostacola la conoscenza di sé e dell’altro.
Ne consegue che
- miglioro lo scambio di informazioni
- la mia mappa si arricchisce
- l’interlocutore è facilitato nell’esprimersi
- si genera un clima di fiducia e di rispetto
posso evidenziare l’importanza del passaggio e della condivisione delle informazioni: altrimenti si può verificare una difficoltà di partecipazione alla dinamica del gruppo e di seguire il processo, con conseguente scarsa condivisione del raggiungimento dell’obiettivo.
“Il gruppo è quel posto dove ci sono molti modi di fare la stessa cosa” (Enzo Spaltro).
E’ la cultura del gruppo “E/E” – “vel”
- LA DIVERSITÀ COME RISORSA
- il conflitto “alimenta“
Senza conflitto il gruppo non funziona
- il compito: quello possibile adesso, domani ne facciamo un altro perché siamo diversi
Un buon leader riformula o fa riformulare.
Pensieri diversi tra di loro, non “la verità”, ma un’opzione; il leader fa in modo che ognuno tiri fuori la sua opzione, perché è un valore per quel gruppo. Quando pensa una cosa, non è l’unica cosa che conta (e se non ti uniformi sei fuori), ma vede di fronte a sé un’altra cosa. Si è di fronte a diverse opzioni, la mia è una delle tante. Il conflitto è quotidiano e richiede coraggio e creatività per potersi evolvere.
Il conflitto alimenta: il dolore della guerra è gratuito, degenerante, il dolore del conflitto è generante. Non c’è nulla di facile: la gestione del conflitto comporta la responsabilità di starci dentro e di farsene carico. Vivere nella pace è difficile, perché pretende la coesistenza, l’accettazione e la gestione degli opposti conflittuali
“L’arte della guerra, infatti, si impara facilmente, mentre la cooperazione va inventata; ed è invenzione difficile, faticosa, piena di incognite. Richiede un progetto in cui è una sfida che può essere vertiginosa…”
(Pagliarani).
Comunicare non significa avere le stesse opinioni: si comunica con pensieri diversi!
La nostra tendenza, comunque, è quella di valutare, esprimere giudizi prima ancora di conoscere.
“… Sono sociali solo quelle relazioni che si fondano nell’accettazione dell’altro come legittimo altro nella convivenza e che tale accettazione è ciò che costituisce un comportamento di rispetto…”
(Maturana)
Un essere umano è coinvolto fin dall’inizio della sua esistenza in un complesso processo di acquisizione delle regole della comunicazione, ma di tali regole è consapevole solo in minima parte.
Tali regole vengono rispettate quando la comunicazione è efficace e violate quando è disturbata.