Il progetto si rivolge all’Uomo Nuovo in Azienda.
COMUNICAZIONE ASSERTIVA EFFICACE
La comunicazione assertiva permette di stabilire buone relazioni interpersonali e si basa su un modo chiaro ed efficace di comunicare. Capacità di comunicare correttamente sul mercato e all’interno dell’organizzazione. Questo per ottenere collaborazione e coinvolgimento dei collaboratori e facilitare l’adesione al progetto negoziale da condividere.
Scopri i diversi livelli di comunicazione che usiamo quotidianamente.
Gestire con risultati soddisfacenti la comunicazione verbale e non verbale.
Scrivere per farsi leggere; comunicare per iscritto, preparare rapporti, relazioni, circolari producendo risultati tangibili.
Fare del management telefonico e del telemarketing strategico, non soltanto semplici telefonate.
Parlare in pubblico mantenendo una buona gestione della comunicazione, senza accumulare stress.
Negoziare con arte.
Analisi transazionale e la programmazione neuro-linguistica al servizio delle dinamiche di gruppo.
Gestire con risultati soddisfacenti la comunicazione verbale e non verbale.
Scrivere per farsi leggere; comunicare per iscritto, preparare rapporti, relazioni, circolari producendo risultati tangibili.
Fare del management telefonico e del telemarketing strategico, non soltanto semplici telefonate.
Parlare in pubblico mantenendo una buona gestione della comunicazione, senza accumulare stress.
Negoziare con arte.
Analisi transazionale e la programmazione neuro-linguistica al servizio delle dinamiche di gruppo.
Comunicazione efficace
Un essere umano è coinvolto fin dall’inizio della sua esistenza in un complesso processo di acquisizione delle regole della comunicazione, ma di tali regole è consapevole solo in minima parte.
Tali regole vengono rispettate quando la comunicazione è efficace e violate quando è disturbata.
Non si può non comunicare
il comportamento non ha un suo opposto, ovvero non è possibile non avere un comportamento; se si accetta che l’intero comportamento in una situazione di interazione ha valore di messaggio, vale a dire è comunicazione, ne consegue che comunque ci si sforzi, non si può non comunicare: l’attività o l’inattività, le parole o il silenzio hanno tutti valore di messaggio, in quanto influenzano gli altri e gli altri, a loro volta, non possono non rispondere a queste comunicazioni, ed in tal modo comunicano anche loro. (es. un cliente che, in una tavola calda affollata guarda fisso davanti a sé, comunica che non vuole parlare con nessuno, né che qualcuno parli con lui)
Trattare il silenzio nel gruppo: comunica qualcosa; che cosa?
Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione di modo che il secondo classifica il primo ed è quindi metacomunicazione.
L’aspetto di contenuto di un messaggio trasmette un’informazione, che può riguardare qualunque cosa; l’aspetto di relazione si riferisce al tipo di messaggio che deve essere assunto e che definisce la natura della relazione tra i comunicanti, dando un’informazione sulla relazione (metainformazione). Ad esempio, i messaggi: “E’ importante togliere la frizione gradatamente e dolcemente” e “Togli di colpo la frizione, rovinerai la trasmissione in un momento”, recano più o meno lo stesso contenuto, ma definiscono evidentemente relazioni molto diverse. Attenzione a questo nelle relazioni e nel gruppo! Questo aspetto lo vedo solo nell’equilibrio tra stare dentro e fuori nella relazione o nel gruppo.
La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti.
In una lunga sequenza di scambi comunicativi ogni elemento è contemporaneamente stimolo e risposta ma le persone punteggeranno la sequenza in modo che sembrerà che l’uno o l’altro abbia l’iniziativa e così via. Alla base di molti conflitti c’è un disaccordo su come punteggiare la sequenza di eventi, di stabilire cioè quale comportamento viene prima, come causa, e quale ne è la conseguenza. Tutti noi siamo dentro sequenze di comunicazione che non hanno né inizio né fine. Da dove parte la sequenza? Se parte da dove dico io ho ragione io, se parte da dove dici tu hai ragione tu. Bisogna mettere la punteggiatura: cambiano le ragioni, cambia chi “comanda”. Nella nostra comunicazione quotidiana non esiste una ragione, ne esistono almeno due: dipende da dove metto il punto. Le ragioni sono due, ha ragione l’altro come ho ragione io, basta spostare i punti. Secondo Pagliarani il conflitto è doloroso, per stare dentro al conflitto ci vuole coraggio. Se emerge la ragione di uno, emerge chi “comanda”. Il problema che abbiamo nel gruppo è: cosa ne facciamo di queste “ragioni”? Per Maturana costruisco la relazione sociale avendo relazione di rispetto con un legittimo altro, così come è. Riconoscere la diversità, dare valore all’altro da me, riconoscere che c’è una ragione diversa dalla mia che ha altrettanti diritti. Trovare un “accordo” forse significa suonare una musica comune.
Gli esseri umani hanno la capacità di comunicare sia tramite un modulo comunicativo digitale (o numerico) sia con un modulo analogico.
In altre parole se, come ricordiamo, ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione, il primo sarà trasmesso essenzialmente con un modulo digitale e il secondo attraverso un modulo analogico. Quando gli esseri umani comunicano per immagini la comunicazione è analogica; questa comprende tutta la comunicazione non-verbale. Quando comunicano usando le parole, la comunicazione segue il modulo digitale.
Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza.
Quest’ultimo assioma si riferisce ad una classificazione della natura delle relazioni che le suddivide in relazioni basate sull’uguaglianza oppure sulla differenza. Nel primo caso si parla di relazioni simmetriche, in cui entrambi i partecipanti tendono a rispecchiare il comportamento dell’altro (ad es. nel caso della diade dirigente-dirigente, o dipendente-dipendente); nel secondo si parla di relazioni complementari, in cui il comportamento di uno dei comunicanti completa quello dell’altro (ad es. dirigente-dipendente). Nella relazione complementare uno dei due comunicanti assume la posizione one-up (superiore) e l’altro quella one-down (inferiore); i diversi comportamenti dei partecipanti si richiamano e si rinforzano a vicenda, dando vita ad una relazione di interdipendenza in cui i rispettivi ruoli one-up e one-down sono stati accettati da entrambi (ad es. le relazioni madre-figlio, medico-paziente, istruttore-allievo, insegnante-studente).
É fondamentale avere chiaro il concetto che le relazioni simmetriche e quelle complementari non devono assolutamente essere equiparate a “buona” e “cattiva”, né le posizioni one-up e one-down vanno accostate ad epiteti quali “forte” e “debole”; si tratta solo di una suddivisione che ci permette di classificare ogni interazione comunicativa in uno dei due gruppi. Nella relazione complementare, il problema consiste nella fissazione dei ruoli tra gli interlocutori, senza che venga offerta ad entrambi la possibilità di modificare tali posizioni. Nelle relazioni sane è necessaria la presenza di entrambe. Quindi attenzione a quali posizioni usiamo, con chi e quando, su quali contenuti, se sempre una o sempre l’altra. Dunque, secondo Pagliarani, bisogna avere paura solo della conflittualità distruttiva.
“Ma quando invece si tratta di una conflittualità che contrappone opinioni diverse, posizioni diverse, tanto più non bisogna avere paura, Perché da lì può nascere la soluzione, se si ha pazienza… a sostenerci nella pazienza è la bellezza del progetto e la ricerca continua che lo accompagna”.
Posso trasmettere agli altri positiva pervicacia, non dogmatismo, ma coerenza. Nel conflitto gestito non è possibile tornare come una volta, come eravamo prima: non siamo come prima! L’altro viene fuori come un legittimo altro in relazione con me, come è ora. Nella logica di relazione “vita tua vita mea” la fiducia è alta e la competitività è assunta e fisiologica. Quindi l’atteggiamento è generativo. Occorre uscire da una logica ripartitiva, per entrare in una generativa: uscire dalla logica ripartitiva nel conflitto significa uscire e vedere cosa succede alla relazione, vedere sé e l’altro nel conflitto, diventare osservatori del sistema di cui si fa parte. Il conflitto è faticoso, ma costruttivo: la fatica di fare una scelta per il bene comune all’interno del conflitto e di portarla avanti. Se vinco io contro di te la sconfitta è comune! La conoscenza, il sapere, cresce nell’essere condiviso, non si divide (e non si sminuisce): inutile essere gelosi.
Per un conduttore di gruppo lo scopo principale è far crescere il potere del gruppo, non ostacolarlo col proprio potere. Cresciamo tutti, non sminuire il ruolo di nessuno (ad es. non: questa cosa l’ho già detta io, lasciarla dire di nuovo, in quel momento è diversa!). Se cresce l’altro, io non diminuisco (non diminuisce il mio potere).
I giudizi non danno informazioni: nel gruppo evitare i giudizi sintetici, le affermazioni che giudicano le persone e le bloccano. Ad es. l’affermazione: tu mi offendi. Trasformarle in un intervento utile all’altro ed al gruppo; quando fai così:… io mi sento offeso. Non è lui che ti offende, ma sei tu che ti senti offeso dalle cose che fa. Questo restituisce a noi la responsabilità, e fa funzionare il gruppo. L’affermazione: tu mi offendi blocca il gruppo. Il pregiudizio c’è, ma noi lo conosciamo e lo verifichiamo: per caso intendevi questo? Riformulare, dare un feedback, cioè dare un’altra formulazione a quello che l’altro dice, o stimolare l’altro a farlo.